Affido a Bunny Odile il compito di augurare a tutti un buon anno.
Auspico eventi inattesi e lieti, notizie belle, risultati incoraggianti. Fatti non prevedibili, che rallegrano, guariscono, accrescono fiducia nel domani.
Certo Myrtil non poteva rimanere senza abiti. Da appassionato di maglioni quale sono, ho trovato appagante confezionare un maglioncino in così poco tempo. Mi è sembrato un po’ come barare, specialmente rispetto al mio solito: ogni maglione che faccio per me passa attraverso due o tre stagioni e visita una serie di luoghi diversi prima di essere terminato.
Trovo divertente poter creare più accessori per lo stesso orso e sostituirli a seconda del periodo dell’anno. I gomitoli da 25 grammi della Katia sono perfetti a questo scopo. I colori sono tenui e si adattano allo stile filato principale, come il giallo dei calzini. Il maglioncino blu è realizzato con un tweed che acquistai da Ivana tempo fa.
Il motivo sul torace, creato da gruppetti di rovesci frammisti a diversi ferri dritti, genera una tensione considerevole e, senza un buon bloccaggio, il maglioncino rimane quasi accartocciato. Trovo sempre incredibile la differenza tra prima e dopo il bloccaggio!
Sono stato particolarmente fiero di me per aver individuato un errore nel pattern del calzino, che ho prontamente segnalato all’autrice. Ciò nulla toglie alla eleganza dello schema e alla bellezza del prodotto finale.
Alla fine di tutto ho deciso di battezzare il mio Myrtil Bear con un nome proprio. D’altra parte Myrtil Bear è il nome del pattern. Quindi, stante il periodo dell’anno e il mio amore per la lingua inglese, la scelta è caduta sul nome Panettone, da leggersi rigorosamente con accento british. Un po’ perché fa buffo, un po’ perché i nostri affetti si ritrovano nelle parole che scegliamo.
Ho finalmente terminato Myrtil Bear! Sono molto felice del risultato. Questo piccolo orso è un misto di dolcezza ed eleganza che ora siede sul mio letto e mi saluta ogni volta che entro nella camera.
Il processo di imbottitura è meno scontato di quello che pensavo. Ho cercato di seguire le istruzioni dell’autrice, rinforzando i punti di sostegno come base del collo, panciotto, anche, e lasciando morbidi i punti di snodo (spalle e base delle gambe) per permettere una maggior mobilità. Inizialmente ho rischiato di riempire troppo punti delicati come il polso o la caviglia, dove una imbottitura eccessiva avrebbe cancellato l’eleganza di questi passaggi sottili. È stato un po’ un andare per tentativi e seguire il mio gusto personale.
Ho imparato nuove tecniche come il Duplicate Stitch per chiudere il buco tra le gambe, dove ho inserito l’imbottitura. Ho paragonato vari strumenti, come il gioco di ferri in metallo rispetto a quello il legno, e dedotto alcune lezioni importanti, come le differenze nella scorrevolezza, nel peso e nella maneggevolezza dei materiali. Sono contento dei miei strumenti, ma potrei voler costruire un nuovo orso con la tecnica del magic loop a due ferri circolari, anche per provare a minimizzare il gap che, nonostante tutti gli sforzi, si forma sempre al passaggio tra un ferro a doppia punta e l’altro.
Nel complesso, la creazione di Myrtil Bear ha costituito un’avventura avvincente, che mi ha messo alla prova, ma che mi ha anche restituito una grande soddisfazione finale. L’investimento di aspettative, ore di lavoro e qualche risorsa non del tutto economica è valso tutta la pena.
Mi sono entusiasmato, ossessionato, stupito, un po’ come ogni volta in cui affronto un’avventura ignota e sento la pulsione a raggiungere l’obiettivo finale, costi quel che costi.
Myrtil Bear è a buon punto e, per celebrare finalmente l’upload di una grafica appropriata a Stellæ, da lungo ricercata e perfezionata grazie all’aiuto di Francesca, voglio postare alcuni scatti di questo tenero orso. La stella ad otto punte in origami è costituita da otto moduli identici, ed è la creazione che diede originariamente il nome a questo blog.
Sia beninteso, per celebrare questo meraviglioso pattern geometrico, che pienamente soddisfa il mio amore per la simmetria, ho anche in preparazione alcuni gin tonic da sorseggiare con una serie di nuovi gusti di patatine Kettle (le mie preferite in assoluto, maledetti loro che sfornano droga legale a gogo). Una cena sana ed equilibrata da gustare dalle 18 alle 24 no-stop davanti ad una maratona di Harry Potter. Non sia mai detto che non faccio le cose in grande.
Le braccia di Myrtil sono state faticose, ma ancora più le zampette finali: meno di 15 punti montati su 3 ferri da 2 mm equivale a scontare una penitenza. La diminuzione alla fine del braccio, però, come a mimare un ipotetico polso, crea un grande realismo. La chiusura con il Kitchener Stitch è elegante e completa la zampa senza gap.
Il corpo, invece, va via liscio. Sono anche ritornato ad usare i ferri in metallo da 20 cm, che avevo abbandonato per quelli in bambù da 13 cm nelle braccia. Questi ultimi sono di infima qualità, ma hanno fatto il loro lavoro. Quindi ho messo nella mia Wishlist su Amazon i Symfonie Wood della KnitPro, il set completo da 10 cm in legno. Chissà mai che qualcuno abbia voglia di farmi una sorpresa.
I materiali sono importanti. Ormai ne sono consapevole così a fondo che non mi chiedo nemmeno più se vale la pena acquistare questo o quello strumento, visivo o pratico. Il punto è solo: come entrarne in possesso? La Wishlist di Amazon è una strategia a mio avviso vincente. Non poetica, certo. Ma, nella irrinunciabile tradizione di scambiare un dono con gli amici più cari, prediligo praticità. L’affetto, beh, quello dura tutto l’anno. Preferisco semplificare ciò che è accessorio per godere dell’indispensabile.
Myrtil Bear è stato in trasferta da Alessandra per il ricamo del naso e del muso. Mi è costato un certo sforzo ammettere la mia scarsa competenza in merito e chiedere aiuto. Di solito faccio tutto per conto mio. Mi piace essere indipendente e non dover chiedere nulla a nessuno. I miei tratti DOC mi chiedono di essere in controllo di un progetto dalla A alla Z: devo comprendere a fondo ogni step, nulla può essere lasciato al caso, devo poter governare il tempo come dico io. E se quello che fanno gli altri non si allinea alle mie aspettative? E se rovinano i materiali? E se rompo le scatole? A volte è una gran scocciatura questa ossessività. Rende tutto un po’ più stressante e meno piacevole.
Alessandra è stata gentile e comprensiva. Tra perfezionisti ci si intende. Il risultato, ovviamente, è eccellente. Per cercare di rispondere al mio bisogno di autonomia ma allo stesso tempo non rinunciare all’aiuto del prossimo ci siamo promessi che, un domani, faremo alcune prove insieme, e Alessandra mi insegnerà come muovere ago e filo per ricamare un naso e una bocca ad hoc. Chiedere aiuto non solo per la mera realizzazione, ma per imparare una tecnica. Un compromesso lecito, ci sto.
Mentre Myrtil Bear era da Alessandra, mi sono portato avanti e ho recuperato un tweed blu notte per confezionare un maglioncino. Non ero del tutto sicuro del risultato. I ferri alternati maglia rasata e legaccio nella parte alta del maglione tiravano molto e il risultato era un tessuto tutto arricciato. Temevo fosse stata una forzatura usare un filato che, di fatto, chiede un 4 mm. Ma, dopo un bel bloccaggio, l’aspetto finale mi ha soddisfatto e anzi, il lavaggio ha reso la lana ancora morbida e vaporosa. Ciononostante, ricordo a me stesso: meglio rimanere coerente nell’uso dei filati e dei rispettivi ferri!
Trovo che il maglioncino sia tenerissimo. L’ho fotografato con dei mandarini per rendere l’idea delle dimensioni. Le coste 1×1 sul polsino, coi ferri del 2.25 mm, mi hanno fatto girare la testa. Ma il piccolo risvolto vale tutta la pena!
Lasciarsi aiutare e investire il tempo guadagnato portandosi avanti con un altro progettino. In queste piccole cose giace la mia felicità.
Ricordo che, agli inizi della mia carriera di knitter, non conoscevo nemmeno l’esistenza di certi filati. Mi limitavo al misto 50% lana e 50% acrilico della merceria vicino casa, e cara grazia che c’era. Con l’andare degli anni e l’evolversi del digitale, ho iniziato ad accedere a vaste risorse online e a scoprire tutto il bello che c’è in giro per il mondo. Ma, quando anche incontravo matasse dai colori e dalla composizione affascinanti, mi ritenevo indegno di tali materiali, stanti le mie limitate capacità.
Col tempo ho sviluppato le mie abilità e acquisito sicurezza; eppure tuttora guardo con un misto di riverenza e terrore alcuni filati preziosissimi. Tipo quelli che, per l’equivalente di 100 grammi, puoi comprarti un paio di bottiglie di gin di tutto rispetto e scorta di acqua tonica per qualche mese. Un po’ l’imbarazzo, un po’ paura di sbagliare, ho sempre preferito soluzioni intermedie, e scelto prodotti di qualità decorosa ma a prezzi vantaggiosi. D’altra parte, è sempre un buon compromesso.
Poi ad un certo punto sono incappato in Myrtil Bear.
Il desiderio di costruire un peluche a maglia mi ha sempre sedotto. L’amigurumi è senz’altro la tecnica più efficace, ma il fascino della V della maglia è un’altra cosa. Myrtil Bear mi è parso il progetto perfetto da cui partire. Ora, il pattern richiedeva un filato sottile, in particolare un 4 ply da lavorare con il 2 mm. La mia mente è volata a delle meravigliose sfumature intraviste qualche tempo fa da Lanadimiele, e… beh, ho rinunciato alle famose due bottiglie di gin.
Il filato è straordinario, non c’è che dire. Twist sock della LITLG è un 80% superwash merino e 20% nylon. Il nylon lo rende perfetto per una struttura sostenuta come quella di un peluche, mentre la lana superwash è sempre un plus quando giunge il momento di lavare (anche perché tutto deve seguire la mia sofisticatissima tecnica di selezione: se non va il lavatrice, non entra in questa casa). Lavorare con i 2 mm… questa è un’altra storia. Ma il filato aiuta a recuperare serenità, scorrendo tra le mani come una terapia dai toni del beige, con micro inclusioni di blu, castagna e viola.
Sono felice di essermi concesso questo acquisto. Poi mi sono chiesto: perché non l’ho fatto prima? Perché mi sono deciso solo ora? È davvero perché il pattern lo richiedeva? O forse avrei potuto acquistare filati preziosi molto tempo fa, per altri manufatti, anche più semplici?
La risposta non è univoca. Certo, le risorse economiche di ognuno di noi variano. Io stesso, quando iniziai a lavorare a maglia, non disponevo delle stesse di cui dispongo ora. Ma forse, al di là di questo aspetto concreto, molto dipendeva da quanto ero pronto a valorizzare me stesso e il mio tempo. Infatti, non è forse il tempo una risorsa insostituibile? E allora, non varrebbe la pena concedermi tutte le chance per trascorrerlo al meglio, investendo in materiali belli, incrementando il piacere che deriva dalla loro lavorazione e dal prodotto finale?
Noi valiamo, e meritiamo il meglio. Sempre. Non serve attendere un progettone straordinario, alimentando peraltro troppe aspettative e qualche ansia inutile. Dobbiamo sforzarci e coltivare il nostro piacere ogni giorno e regalarci tutte opportunità possibili. E se non lo facciamo noi, chi lo dovrebbe fare?
La produzione di piastrelle color grigio è cominciata. Okay, ad essere preciso non sono ancora piastrelle: per ora ho prodotto solo la parte circolare interna. Al momento mi attesto sugli 80 cerchi circa, grazie anche al contributo prezioso di Katia, una delle LaNoLer. Mi fermerei a 100 (circa un quarto del totale) e procederei con il bordo. A tal fine, sto attendendo di recuperare 3 kg di lana da Ivana Battiston, che ha un negozio temporaneo e un sito internet davvero meritevoli. Ivana viene a Milano un paio di volte al mese, portando con sé prodotti variegati, smarchiati, di qualità e a prezzi interessanti. Il corrente lockdown mi mette ovviamente in difficoltà e quindi non posso recuperare il color panna di cui ho bisogno. Potrei compilare un’autodichiarazione e andare a trovarla nel biellese, dove abita, ma non sono certo che le forze dell’ordine accetterebbero “incetta di lana” come giustificazione a carattere di emergenza.
I grigi in foto provengono da vari negozi, sia fisici che online. Le tonalità sono numerosissime e i filati molto diversi tra loro. Non sto escludendo quasi nulla e mescolo tweed con mohair, lana merinos con acrilico, accoppiando anche fili troppo sottili per essere lavorati da soli. A volte mi sento un po’ un delinquente, come quando ho unito una sottilissima pura lana vergine scozzese con un acrilico appena uscito da peggiori bar di Caracas. Però alla fine mi sembra funzionare. Forse, prese singolarmente, alcune piastrelle non hanno molto senso, ma conto sull’effetto finale della composizione.
Anche gli altri membri del LaNoLo hanno rovistato tra le loro scorte e mi stanno aiutando con delle matassine di grigio. Mi piace immaginare che, in qualche modo, la coperta sarà il prodotto di un aiuto proveniente da varie persone a cui sono affezionato. A tutti gli effetti uno dei motivi per cui, ormai quattro anni fa, mi impegnavo a mettere insieme quello che sarebbe poi diventato il nostro knit club di quartiere, era proprio il desiderio di creare un gruppo coeso, fondato su aiuto reciproco e risate leggere (e alcuni carichi spritz Aperol di Barbara, che ci ospita insieme a Luciana ogni giovedì sera). Così un domani, mentre leggerò un libro a letto, mi cadrà l’occhio sulla piastrella di Giovanna, di Ester, di Laura o di una delle altre compagne ed amiche del club, e mi verranno in mente le chiacchierate in compagnia, i favori reciproci, le esperienze comuni.
D’altra parte la maglia, così come altre passioni, è responsabile anche di questo: unire le persone sotto la stessa stella. Quando arriva il giovedì sera, so che andrò in un ambiente dove le mie fatiche vengono riconosciute, potrò condividere gli sbagli e trovare delle soluzioni, ridere per delle sciocchezze e imparare a prendermi un po’ in giro. E alla fine della serata tornerò a casa contento. Perché avrò trascorso un paio d’ore con persone che, da compagne di hobby, sono diventate parte della mia famiglia.
Nella costruzione del cardigan stile orientale che ho descritto qui, mi sono trovato davanti ad alcuni interrogativi: Integro il bordo anteriore direttamente nel corpo e indovino già all’inizio la distribuzione di asole e bottoni? Oppure prima lavoro il corpo e poi tiro su i punti per il bordo? Il collo andrà costruito alla fine, dopo corpo e bordo? Oppure l’ordine dovrebbe essere corpo, collo e solo alla fine bordo anteriore, in modo che quest’ultimo diventi un’unica banda verticale?
Le implicazioni erano numerose, e ad un certo punto mi sono stufato e ho seguito il mio sesto senso. L’ordine finale è quello in foto: 1 corpo, 2 bordo, 3 collo.
PRO Lavorare il bordo separatamente mi ha permesso di distribuire in modo equidistante le asole con facilità. Conoscendo il numero di punti tirati su per il bordo, ho diviso tale valore in modo equo avvalendomi di uno schema su PC (1 punto = 1 quadratino).
CONTRO Poiché il bordo non arriva sino in alto, non ho potuto posizionare l’ultima asola in prossimità dell’angolo superiore. La chiusura quindi rimane più bassa e gli angoli tengono leggermente ad aprirsi. Inoltre, la continuità della texture viene interrotta. Il bordo è sì lavorato a legaccio, ma in direzione perpendicolare alla parte superiore del corpo.
In futuro potrei ripetere questo modello costruendo già da zero un collo alto come quello in foto (tutti giri in piano, senza aumenti per gli scalfi, manterrei solo una differenza di altezza tra il dietro e il davanti come faccio sempre) e lavorando il bordo finale su tutta l’altezza del cardigan.
La costruzione di un modello è sempre un percorso affascinante. Incappo continuamente in scelte da compiere. Talvolta nemmeno mi aspetto di doverne fare e invece tiè, un’altra biforcazione, un’altra decisione da cui dipenderà l’esito del prodotto finale. È roba tosta, non sempre imbrocco la strada giusta. Per uno ossessivo come il sottoscritto è un bell’allenamento. Fin quando si tratta di scegliere quale film guardare o se mangiare una brioche alla crema o una alla marmellata è facile (se non altro perché di solito me le mangio tutt’e due). Se si tratta di un maglione intero, eh, diventa un po’ più una sfida: se sbaglio, mi tocca disfare tutto.
Se si tratta della vita, le scelte da compiere possono essere una vera fregatura. Talvolta uso tutto il mio buon senso e azzecco la strada giusta. Talvolta invece faccio affidamento al cuore, all’istinto, e me la cavo egregiamente. Corteccia frontale e prefrontale da una parte, sistema limbico e amigdala dall’altro. Collisioni, bisticci e un gran casino di emozioni.
Non c’è una regola definitiva, ognuno fa quello che può e che si sente. Alla fine però l’importante è muoversi e scegliere.
Una delle parole d’ordine che contraddistingue il mio stile di knitter è minimalismo. Non sono un appassionato di punti complessi o trecce. Maglia rasata, legaccio e coste sono sufficienti. In particolare, apprezzo la giustapposizione di maglia rasata e legaccio, punti che esaltano la bellezza reciproca proprio quando sono accostati.
Per questo motivo mi sono detto: dai, proviamo a costruire un cardigan utilizzando legaccio per la parte superiore e maglia rasata per quella inferiore e per le maniche. Volevo qualcosa di lineare, ispirato alla tradizione giapponese, che di minimale ha tutto. Così ho scelto di non lavorare uno scollo, come nei classici cardigan con collo a V; invece, ho tenuto la linea del collo alta, nel tentativo di creare un aspetto tipo giacchetta orientale.
Forse avrei potuto utilizzare una lana diversa per questo manufatto, qualcosa dai toni più neutri, meno rustica, più in linea con lo stile che volevo dare al lavoro. Forse avrei proprio dovuto evitare un tweed, che è pure tra i miei filati preferiti. Ma tant’è, il risultato mi ha felicemente sorpreso.
Ho sempre desiderato visita il Giappone e l’Oriente, nella sua interezza. Nel febbraio 2020 era in previsione un viaggio in Vietnam e Cambogia, che abbiamo dovuto sospendere per motivi di salute. Poi, a due giorni dall’ipotetica partenza, è esplosa la nota pandemia da Coronavirus e nulla. Forse era destino.
Spero sempre di vedere i ciliegi in fiore a Kyoto, e inganno il tempo che dovrà trascorrere prima di programmare un nuovo viaggio studiando le linee dei capi giapponesi. Mangio ravioli al vapore, imparo a fare onigiri e condisco il tutto con molto sakè.
D’altra parte la maglia serve anche a questo: portare nella nostra quotidianità qualcosa di remoto, per assaggiare pezzi di emozioni lontane. In attesa di farlo dal vivo.
Il vantaggio principale nell’utilizzare le coste 1×1 è quello di chiudere in tubolare. È una tecnica un po’ rognosa, forse, ma persino io, che cerco di utilizzare l’ago da maglia il meno possibile, trovo restituisca un gran bel risultato.
Nelle coste 2×2 non è possibile procedere con chiusura in tubolare. O meglio, si può dopo aver lavorato 4-6 giri a coste 1×1, ma il passaggio tra i due rapporti si nota. Alla fine quindi ho chiuso questo polsino in modo classico, alternando il filo tra dietro e davanti al passaggio tra diritto e rovescio. Il rischio ovviamente è che, col tempo, il polsino perda di elasticità e ceda. Poco male, ho lana extra per disfarlo e rifarlo, un domani.
La lunghezza totale che utilizzo per un polsino corrisponde a numero di giri che ho precedentemente usato per il bordo inferiore del corpo. Di solito si attesta sui 4-5 cm. Mi giostro tra questi due valori a seconda della lunghezza totale della manica, aggiustando eventualmente in eccesso o difetto.
Una delle cose più affascinanti del lavoro a maglia è che stimola la capacità di adattamento. Spesso sono costretto a fermarmi e rivedere un progetto già in corso, modificarlo in alcune parti, e forse arrivare ad un risultato diverso da quello atteso. Un punto che manca, una manica troppo lunga, un bordo che viene male e molti altri imprevisti che allenano pazienza e aumentano ogni volta il bagaglio dell’esperienza. Mi ricorda un po’ quello che accade nella vita quotidiana.
Forse fare un maglione è un po’ un allenamento ad affrontare i contrattempi di tutti i giorni. Talvolta costa un bello sforzo per cavarsi dagli impicci. Alla mal parata bisogna disfare e tornare indietro. Ma mai lasciare il lavoro a metà.