Direzioni

Nella costruzione del cardigan stile orientale che ho descritto qui, mi sono trovato davanti ad alcuni interrogativi:
Integro il bordo anteriore direttamente nel corpo e indovino già all’inizio la distribuzione di asole e bottoni?
Oppure prima lavoro il corpo e poi tiro su i punti per il bordo?
Il collo andrà costruito alla fine, dopo corpo e bordo?
Oppure l’ordine dovrebbe essere corpo, collo e solo alla fine bordo anteriore, in modo che quest’ultimo diventi un’unica banda verticale?

Le implicazioni erano numerose, e ad un certo punto mi sono stufato e ho seguito il mio sesto senso. L’ordine finale è quello in foto: 1 corpo, 2 bordo, 3 collo.

PRO
Lavorare il bordo separatamente mi ha permesso di distribuire in modo equidistante le asole con facilità. Conoscendo il numero di punti tirati su per il bordo, ho diviso tale valore in modo equo avvalendomi di uno schema su PC (1 punto = 1 quadratino).

CONTRO
Poiché il bordo non arriva sino in alto, non ho potuto posizionare l’ultima asola in prossimità dell’angolo superiore. La chiusura quindi rimane più bassa e gli angoli tengono leggermente ad aprirsi. Inoltre, la continuità della texture viene interrotta. Il bordo è sì lavorato a legaccio, ma in direzione perpendicolare alla parte superiore del corpo.

In futuro potrei ripetere questo modello costruendo già da zero un collo alto come quello in foto (tutti giri in piano, senza aumenti per gli scalfi, manterrei solo una differenza di altezza tra il dietro e il davanti come faccio sempre) e lavorando il bordo finale su tutta l’altezza del cardigan. 

La costruzione di un modello è sempre un percorso affascinante. Incappo continuamente in scelte da compiere. Talvolta nemmeno mi aspetto di doverne fare e invece tiè, un’altra biforcazione, un’altra decisione da cui dipenderà l’esito del prodotto finale. È roba tosta, non sempre imbrocco la strada giusta. Per uno ossessivo come il sottoscritto è un bell’allenamento. Fin quando si tratta di scegliere quale film guardare o se mangiare una brioche alla crema o una alla marmellata è facile (se non altro perché di solito me le mangio tutt’e due). Se si tratta di un maglione intero, eh, diventa un po’ più una sfida: se sbaglio, mi tocca disfare tutto.

Se si tratta della vita, le scelte da compiere possono essere una vera fregatura. Talvolta uso tutto il mio buon senso e azzecco la strada giusta. Talvolta invece faccio affidamento al cuore, all’istinto, e me la cavo egregiamente. Corteccia frontale e prefrontale da una parte, sistema limbico e amigdala dall’altro. Collisioni, bisticci e un gran casino di emozioni.

Non c’è una regola definitiva, ognuno fa quello che può e che si sente. Alla fine però l’importante è muoversi e scegliere.

Minimalismo

Una delle parole d’ordine che contraddistingue il mio stile di knitter è minimalismo. Non sono un appassionato di punti complessi o trecce. Maglia rasata, legaccio e coste sono sufficienti. In particolare, apprezzo la giustapposizione di maglia rasata e legaccio, punti che esaltano la bellezza reciproca proprio quando sono accostati.

Per questo motivo mi sono detto: dai, proviamo a costruire un cardigan utilizzando legaccio per la parte superiore e maglia rasata per quella inferiore e per le maniche. Volevo qualcosa di lineare, ispirato alla tradizione giapponese, che di minimale ha tutto. Così ho scelto di non lavorare uno scollo, come nei classici cardigan con collo a V; invece, ho tenuto la linea del collo alta, nel tentativo di creare un aspetto tipo giacchetta orientale.

Forse avrei potuto utilizzare una lana diversa per questo manufatto, qualcosa dai toni più neutri, meno rustica, più in linea con lo stile che volevo dare al lavoro. Forse avrei proprio dovuto evitare un tweed, che è pure tra i miei filati preferiti. Ma tant’è, il risultato mi ha felicemente sorpreso.

Ho sempre desiderato visita il Giappone e l’Oriente, nella sua interezza. Nel febbraio 2020 era in previsione un viaggio in Vietnam e Cambogia, che abbiamo dovuto sospendere per motivi di salute. Poi, a due giorni dall’ipotetica partenza, è esplosa la nota pandemia da Coronavirus e nulla. Forse era destino.

Spero sempre di vedere i ciliegi in fiore a Kyoto, e inganno il tempo che dovrà trascorrere prima di programmare un nuovo viaggio studiando le linee dei capi giapponesi. Mangio ravioli al vapore, imparo a fare onigiri e condisco il tutto con molto sakè.

D’altra parte la maglia serve anche a questo: portare nella nostra quotidianità qualcosa di remoto, per assaggiare pezzi di emozioni lontane. In attesa di farlo dal vivo.

Il polsino

Il vantaggio principale nell’utilizzare le coste 1×1 è quello di chiudere in tubolare. È una tecnica un po’ rognosa, forse, ma persino io, che cerco di utilizzare l’ago da maglia il meno possibile, trovo restituisca un gran bel risultato.

Nelle coste 2×2 non è possibile procedere con chiusura in tubolare. O meglio, si può dopo aver lavorato 4-6 giri a coste 1×1, ma il passaggio tra i due rapporti si nota. Alla fine quindi ho chiuso questo polsino in modo classico, alternando il filo tra dietro e davanti al passaggio tra diritto e rovescio. Il rischio ovviamente è che, col tempo, il polsino perda di elasticità e ceda. Poco male, ho lana extra per disfarlo e rifarlo, un domani.

La lunghezza totale che utilizzo per un polsino corrisponde a numero di giri che ho precedentemente usato per il bordo inferiore del corpo. Di solito si attesta sui 4-5 cm. Mi giostro tra questi due valori a seconda della lunghezza totale della manica, aggiustando eventualmente in eccesso o difetto.

Una delle cose più affascinanti del lavoro a maglia è che stimola la capacità di adattamento. Spesso sono costretto a fermarmi e rivedere un progetto già in corso, modificarlo in alcune parti, e forse arrivare ad un risultato diverso da quello atteso. Un punto che manca, una manica troppo lunga, un bordo che viene male e molti altri imprevisti che allenano pazienza e aumentano ogni volta il bagaglio dell’esperienza. Mi ricorda un po’ quello che accade nella vita quotidiana.

Forse fare un maglione è un po’ un allenamento ad affrontare i contrattempi di tutti i giorni. Talvolta costa un bello sforzo per cavarsi dagli impicci. Alla mal parata bisogna disfare e tornare indietro. Ma mai lasciare il lavoro a metà.

Le maniche

Io lavoro il busto per primo perché lo trovo più vago e quindi più noioso delle maniche. Cresce lentamente, non ho un punto di arrivo certo, va provato diverse volte per capire se ci siamo con la lunghezza e posso partire col bordo inferiore o meno. Tira di qua, liscia di là, guardati allo specchio, davanti, dietro, boh. Non sono mai sicuro. Spesso sbaglio. Una rottura insomma.

Lascio le maniche per ultime. Ho la sensazione di controllarne meglio lo sviluppo, perché all’inizio della prima manica, grazie ad una formula che ho ormai reso universale tramite un foglio di calcolo su Excel, riesco a calcolare con precisione quante diminuzioni dovrò effettuare per arrivare ad una certa circonferenza, prima di iniziare il polsino. Quindi mi costruisco una tabella con, nella prima colonna, il numero di giri da lavorare in piano + quello in cui effettuare le diminuzioni (solitamente il sesto o settimo), e nella prima riga il numero totale di di volte in cui ripetere il tutto. Poi via di spunte in ogni casellina.

La ricetta è infallibile, e arrivo giusto giusto con i ferri circolari all’ultima diminuzione prima di iniziare il polsino.

Per il Daelyn Pullover, ho diminuito ogni settimo ferro per un totale di 13 volte. Dopo l’ultima diminuzione, preferisco passare al gioco di ferri per fare il polsino (quelli in foto sono del 4.5 mm, di 0.5 mm in meno rispetto al lavoro principale). I punti infatti diventano pochi e per proseguire con i circolari dovrei stirarli lungo il cavetto, e non mi piace sollecitare il filato senza un vero bisogno. Tra l’altro, mi piace anche la gestualità che entra in gioco nel maneggiare questi cinque bastoncini.

Se per caso il numero di punti non è preciso, lo sistemo al primo giro di coste, in modo da ottenere un numero di punti pari (se progetto coste 1 x 1) o multipli di 4 (se ho in mente coste 2 x 2, come più spesso succede). Prima mi preoccupavo di arrivare al numero corretto prima di effettuare le coste, e ciò mi procurava inutili mal di testa. La mia amica Laura è una che tende alla semplificazione, e mi ha insegnato questo trucchetto. Il cielo sa quanto un ossessivo come me ha bisogno di amici knitter per limare le proprie rigidità!

Ad oggi so la lana perdona e che una scorciatoia qua e una là aiutano a rilassarsi e a godersi meglio quest’arte. E col tempo che risparmio posso bere uno spritz in più.

Il maglione

Il motivo principale per cui, anni addietro, iniziai a lavorare a maglia era il desiderio di realizzare un maglione. Per me, ma anche per la persona che avrei amato.

Trovo ci sia qualcosa di poetico nel lavorare incessantemente ad un progetto complesso per poi donarlo a qualcuno. In particolare, nel mio immaginario, il maglione è l’emblema del lavoro a maglia, il capo a cui tutti i principianti aspirano e che, una volta realizzato, fa dire: ce l’ho fatta. Per me ha anche il valore simbolico dello “stare addosso”, dell’abbracciare interamente chi lo riceve. È un po’ come stare con quella persona, anche quando si è lontani.

Dai miei primi passi di knitter sono passati ormai sette anni. Di maglioni ne ho fatti, alcuni seguendo schemi, la maggior parte usando metodi di costruzione Top Down ritagliati sulle mie misure (Fringe Association è stata la svolta).

Il lavoro attuale è un Daelyn Pullover della bravissima Isabell Kraemer, lavorato con uno splendido Felted Tweed Aran della Rowan, color Clay.

Il pattern mi ha fatto conoscere le German Short Rows, che all’inizio mi han spaventato ma dopo poco mi sono parse semplici e anche una bella trovata a dirla tutta, meglio delle Wrap and Turn. Un tentativo seguendo una taglia M non è andato a buon fine: tirava sotto le ascelle. Ho dovuto disfare, e seguire le indicazioni per una L. Mi sono sentito un po’ a disagio e ho ripensato ai vari gelati e biscotti Bahlsen che ingollo ogni sera davanti alla TV. Alla fine ho deciso che è colpa della lana, del campione, della Kraemer, dell’umidità, insomma di tutti tranne che mia, e ho proseguito con la L e dolciumi vari.

Dopo un tempo infinito per il corpo, che realizzo sempre per primo, le maniche stanno procedendo in modo spedito, complice il periodo di lockdown appena iniziato, che mi confina nei miei quarantadue metri quadri. Cerchiamo di vedere il bicchiere mezzo pieno. Forse per una volta finirò un maglione prima del solstizio d’inverno!

Copertina pop: packaging e consegna

Il risultato finale mi ha davvero soddisfatto. Confesso, ho ricevuto tanti complimenti e ho influenzato le mie amiche e colleghe del club di maglia. Alcune si sono già messe all’opera per replicare il progetto e mi hanno chiesto indicazioni. Il mio (peraltro modestissimo) ego ha lanciato coriandoli qua e là!

Ho consegnato a Valentina la copertina insieme ad un coniglietto e un berretto da elfo. Il coniglietto è una piccola gemma, lo so. Terminato grazie all’intervento cruciale di una delle LaNoLers, Franca, maestra dell’amigurumi, è stato una sorpresa anche per me. A dirla tutta, per un attimo ho pensato di tenermelo, ma poi ho avuto tenerezza per il nascituro e me ne sono privato, non senza una nota di rimpianto. Non so se lo rifarei. Bellissimo eh, specialmente in quel cotone egiziano turchese, ma l’uncinetto del 3.5 mi odia. Sì sì, me l’ha proprio detto, l’ho sentito, più volte. Specialmente nella coda fatta con una circonferenza di 4 punti circa. Ad ogni modo il sentimento è reciproco.

Il berretto viene da un pattern preso da Do Knit, un negozio qui di Milano. Incredibilmente, il pattern non è più disponibile. Appena avrò tempo dovrò farne un certo numero, sono sempre un bel regalo passepartout per bimbi fino ai tre anni.

Valentina è stata contentissima, ed io con lei. Riscopro in queste occasioni che la gioia non è solo di chi riceve un dono, ma anche di chi lo fa.

Copertina pop: assemblaggio

L’unione delle piastrelle mi ha messo a dura prova.
Non ero per nulla contento del metodo utilizzato nel video originale: crea una specie di rilievo che trovo sgradevole.
Ho provato a cucirle, ma non ero soddisfatto, mi sembrava andassero da tutte le parti e i lembi accostati stavano male. Inoltre, il filato che ho acquistato ad un prezzo vantaggioso, tipo stoppino, pur buono nella resa, era fragile e tendeva a spezzarsi se tirato.
Alla fine ho trovato questo bel tutorial:

L’effetto finale mi ha soddisfatto: ho potuto lavorare le piastrelle insieme (molto più pratico che cucirle), la linea di unione si è mantenuta in piano ed è risultata una graziosa fila di V. Come sempre, ho fatto una prova prima.

Anche per il bordo ho pensato a lungo. Ho scelto questo, per mimare lo stile della cucitura.

Come prima cosa ho tirato su tutti i punti, ma con un accorgimento: ad ognuno dei 4 angoli, non fare 3 punti bassi, ma utilizzare lo stesso metodo che viene impiegato nel video del bordo (1 mezza maglia altra, 3 catenelle, 1 mezza maglia alta). Nel primo angolo bastano 3 catenelle e 1 mezza maglia alta; l’altra maglia alta verrà fatta alla fine del giro.

Una ulteriore nota:
Nell’unire le piastrelle, ognuna presenterà 17 punti, da unire ad altrettanti della piastrella adiacente. 15 corrispondenti alle maglie alte, + 2 catenelle, una per estremità. All’inizio e alla fine di ogni fila o colonna, però, vale la pena unirne 18: in corrispondenza dei margini, cioè, unire entrambe le catenelle di angolo. Questo permetterà una squadratura migliore dei margini, e una costruzione più regolare del bordo.

Copertina pop: realizzazione piastrelle

Raramente capita che un collega di lavoro diventi anche un amico. Io ho avuto la fortuna di lavorare e conoscere anche personalmente Valentina, che è ormai più una amica che una collega. Ora, Valentina avrà un bimbo a febbraio 2021 e subito è una gran fame di progetti da realizzare.

La copertina è, ovviamente, un must. Volevo qualcosa di originale, coloratissimo, da realizzare senza portarmi dietro ferri vari (anche perché di progetti già avviati e montati su ferri ne ho fin troppi).
Quindi ho deciso di lanciarmi sui cari e vecchi quadrotti, ma con un tocco di originalità. Bando a tinte tenui, che mi viene il nervoso, con buon pace delle storiche copertine bianche/beige/verdoline/chepalle, che pure alcuni amano. Volevo qualcosa di fuori dal comune, quasi psichedelico. Non sia mai che il marmocchio non si senta stimolato e che la corteccia visiva non spari a mille a qualsiasi ora del giorno e della notte, di fronte ad un caleidoscopio di tinte diverse!

Così ho spulciato un po’ papà YouTube, scartato una serie di ciofeche che, santo cielo, ma tra tutte le cose a questo mondo, davvero quella è la prima che un neonato dovrebbe vedere?! e alla fine sono atterrato su questo modello di piastrella che mi ha catturato.

Il cerchio centrale è fatto da aumenti graduali in un magic loop. Così:

Magic Loop (ML)
3 catenelle
11 maglie alte nel ML
Punto bassissimo nella terza catenella per chiudere giro (12 punti)
3 catenelle e 1 maglia alta nel primo punto
2 maglie altre in ognuno degli altri punti (24)
Poi ancora, come prima, 3 catenelle e 1 maglia alta nel primo punto
Poi 1 maglia alta nel secondo punto
Ripetere le ultime due righe fino alla fine (36)

La quadratura di questo cerchio centrale mi è sembrata divertente, un buon utilizzo di una varietà di punti diversi. Io mi sono fermato al secondo giro, per dare più spazio alla varietà di colore, a scapito del bianco di unione. Quindi in definitiva mi sono servite più piastrelle, avendo di fatto un giro in meno per ognuna di esse.
Ne ho misurata una (12 x 12 cm), ho deciso di fare una copertina 70 x 80 cm, ho fatto le debite proporzioni e ho calcolato un totale di 42 piastrelle (da 12 cm ognuna). In particolare, ho deciso di farne 6 per colore, e di usare 7 colori diversi.

Alcune note:
1. Nascondi le codine alla fine di ogni piastrella. Se decidi di fare prima tutte le piastrelle e poi nascondere tutte le codine alla fine, prepara in anticipo molta pazienza e alcuni gin tonic;
2. Non usare filati troppo diversi tra di loro in termini di spessore. È un buon progetto per mischiare colori, e quindi far fuori residui vari, è vero, ma filati di spessore troppo diverso porteranno a piastrelle difformi. La quadratura esterna aiuta molto a pareggiare, ma i cerchi fatti da filati più sottili vengono necessariamente “stirati”, soprattutto agli angoli, se lo spessore del filato di unione (bianco) è maggiore. Così il cerchio centrale si sforma e sta male;
3. Colori, colori, colori! Prediligi tinte vivaci per ottenere un effetto rainbow. Come il mix che segue: