Aiuti e investimenti

Myrtil Bear è stato in trasferta da Alessandra per il ricamo del naso e del muso. Mi è costato un certo sforzo ammettere la mia scarsa competenza in merito e chiedere aiuto. Di solito faccio tutto per conto mio. Mi piace essere indipendente e non dover chiedere nulla a nessuno. I miei tratti DOC mi chiedono di essere in controllo di un progetto dalla A alla Z: devo comprendere a fondo ogni step, nulla può essere lasciato al caso, devo poter governare il tempo come dico io. E se quello che fanno gli altri non si allinea alle mie aspettative? E se rovinano i materiali? E se rompo le scatole? A volte è una gran scocciatura questa ossessività. Rende tutto un po’ più stressante e meno piacevole.

Alessandra è stata gentile e comprensiva. Tra perfezionisti ci si intende. Il risultato, ovviamente, è eccellente. Per cercare di rispondere al mio bisogno di autonomia ma allo stesso tempo non rinunciare all’aiuto del prossimo ci siamo promessi che, un domani, faremo alcune prove insieme, e Alessandra mi insegnerà come muovere ago e filo per ricamare un naso e una bocca ad hoc. Chiedere aiuto non solo per la mera realizzazione, ma per imparare una tecnica. Un compromesso lecito, ci sto.

Mentre Myrtil Bear era da Alessandra, mi sono portato avanti e ho recuperato un tweed blu notte per confezionare un maglioncino. Non ero del tutto sicuro del risultato. I ferri alternati maglia rasata e legaccio nella parte alta del maglione tiravano molto e il risultato era un tessuto tutto arricciato. Temevo fosse stata una forzatura usare un filato che, di fatto, chiede un 4 mm. Ma, dopo un bel bloccaggio, l’aspetto finale mi ha soddisfatto e anzi, il lavaggio ha reso la lana ancora morbida e vaporosa. Ciononostante, ricordo a me stesso: meglio rimanere coerente nell’uso dei filati e dei rispettivi ferri!

Trovo che il maglioncino sia tenerissimo. L’ho fotografato con dei mandarini per rendere l’idea delle dimensioni. Le coste 1×1 sul polsino, coi ferri del 2.25 mm, mi hanno fatto girare la testa. Ma il piccolo risvolto vale tutta la pena!

Lasciarsi aiutare e investire il tempo guadagnato portandosi avanti con un altro progettino. In queste piccole cose giace la mia felicità. 

Direzioni

Nella costruzione del cardigan stile orientale che ho descritto qui, mi sono trovato davanti ad alcuni interrogativi:
Integro il bordo anteriore direttamente nel corpo e indovino già all’inizio la distribuzione di asole e bottoni?
Oppure prima lavoro il corpo e poi tiro su i punti per il bordo?
Il collo andrà costruito alla fine, dopo corpo e bordo?
Oppure l’ordine dovrebbe essere corpo, collo e solo alla fine bordo anteriore, in modo che quest’ultimo diventi un’unica banda verticale?

Le implicazioni erano numerose, e ad un certo punto mi sono stufato e ho seguito il mio sesto senso. L’ordine finale è quello in foto: 1 corpo, 2 bordo, 3 collo.

PRO
Lavorare il bordo separatamente mi ha permesso di distribuire in modo equidistante le asole con facilità. Conoscendo il numero di punti tirati su per il bordo, ho diviso tale valore in modo equo avvalendomi di uno schema su PC (1 punto = 1 quadratino).

CONTRO
Poiché il bordo non arriva sino in alto, non ho potuto posizionare l’ultima asola in prossimità dell’angolo superiore. La chiusura quindi rimane più bassa e gli angoli tengono leggermente ad aprirsi. Inoltre, la continuità della texture viene interrotta. Il bordo è sì lavorato a legaccio, ma in direzione perpendicolare alla parte superiore del corpo.

In futuro potrei ripetere questo modello costruendo già da zero un collo alto come quello in foto (tutti giri in piano, senza aumenti per gli scalfi, manterrei solo una differenza di altezza tra il dietro e il davanti come faccio sempre) e lavorando il bordo finale su tutta l’altezza del cardigan. 

La costruzione di un modello è sempre un percorso affascinante. Incappo continuamente in scelte da compiere. Talvolta nemmeno mi aspetto di doverne fare e invece tiè, un’altra biforcazione, un’altra decisione da cui dipenderà l’esito del prodotto finale. È roba tosta, non sempre imbrocco la strada giusta. Per uno ossessivo come il sottoscritto è un bell’allenamento. Fin quando si tratta di scegliere quale film guardare o se mangiare una brioche alla crema o una alla marmellata è facile (se non altro perché di solito me le mangio tutt’e due). Se si tratta di un maglione intero, eh, diventa un po’ più una sfida: se sbaglio, mi tocca disfare tutto.

Se si tratta della vita, le scelte da compiere possono essere una vera fregatura. Talvolta uso tutto il mio buon senso e azzecco la strada giusta. Talvolta invece faccio affidamento al cuore, all’istinto, e me la cavo egregiamente. Corteccia frontale e prefrontale da una parte, sistema limbico e amigdala dall’altro. Collisioni, bisticci e un gran casino di emozioni.

Non c’è una regola definitiva, ognuno fa quello che può e che si sente. Alla fine però l’importante è muoversi e scegliere.

Minimalismo

Una delle parole d’ordine che contraddistingue il mio stile di knitter è minimalismo. Non sono un appassionato di punti complessi o trecce. Maglia rasata, legaccio e coste sono sufficienti. In particolare, apprezzo la giustapposizione di maglia rasata e legaccio, punti che esaltano la bellezza reciproca proprio quando sono accostati.

Per questo motivo mi sono detto: dai, proviamo a costruire un cardigan utilizzando legaccio per la parte superiore e maglia rasata per quella inferiore e per le maniche. Volevo qualcosa di lineare, ispirato alla tradizione giapponese, che di minimale ha tutto. Così ho scelto di non lavorare uno scollo, come nei classici cardigan con collo a V; invece, ho tenuto la linea del collo alta, nel tentativo di creare un aspetto tipo giacchetta orientale.

Forse avrei potuto utilizzare una lana diversa per questo manufatto, qualcosa dai toni più neutri, meno rustica, più in linea con lo stile che volevo dare al lavoro. Forse avrei proprio dovuto evitare un tweed, che è pure tra i miei filati preferiti. Ma tant’è, il risultato mi ha felicemente sorpreso.

Ho sempre desiderato visita il Giappone e l’Oriente, nella sua interezza. Nel febbraio 2020 era in previsione un viaggio in Vietnam e Cambogia, che abbiamo dovuto sospendere per motivi di salute. Poi, a due giorni dall’ipotetica partenza, è esplosa la nota pandemia da Coronavirus e nulla. Forse era destino.

Spero sempre di vedere i ciliegi in fiore a Kyoto, e inganno il tempo che dovrà trascorrere prima di programmare un nuovo viaggio studiando le linee dei capi giapponesi. Mangio ravioli al vapore, imparo a fare onigiri e condisco il tutto con molto sakè.

D’altra parte la maglia serve anche a questo: portare nella nostra quotidianità qualcosa di remoto, per assaggiare pezzi di emozioni lontane. In attesa di farlo dal vivo.

Il polsino

Il vantaggio principale nell’utilizzare le coste 1×1 è quello di chiudere in tubolare. È una tecnica un po’ rognosa, forse, ma persino io, che cerco di utilizzare l’ago da maglia il meno possibile, trovo restituisca un gran bel risultato.

Nelle coste 2×2 non è possibile procedere con chiusura in tubolare. O meglio, si può dopo aver lavorato 4-6 giri a coste 1×1, ma il passaggio tra i due rapporti si nota. Alla fine quindi ho chiuso questo polsino in modo classico, alternando il filo tra dietro e davanti al passaggio tra diritto e rovescio. Il rischio ovviamente è che, col tempo, il polsino perda di elasticità e ceda. Poco male, ho lana extra per disfarlo e rifarlo, un domani.

La lunghezza totale che utilizzo per un polsino corrisponde a numero di giri che ho precedentemente usato per il bordo inferiore del corpo. Di solito si attesta sui 4-5 cm. Mi giostro tra questi due valori a seconda della lunghezza totale della manica, aggiustando eventualmente in eccesso o difetto.

Una delle cose più affascinanti del lavoro a maglia è che stimola la capacità di adattamento. Spesso sono costretto a fermarmi e rivedere un progetto già in corso, modificarlo in alcune parti, e forse arrivare ad un risultato diverso da quello atteso. Un punto che manca, una manica troppo lunga, un bordo che viene male e molti altri imprevisti che allenano pazienza e aumentano ogni volta il bagaglio dell’esperienza. Mi ricorda un po’ quello che accade nella vita quotidiana.

Forse fare un maglione è un po’ un allenamento ad affrontare i contrattempi di tutti i giorni. Talvolta costa un bello sforzo per cavarsi dagli impicci. Alla mal parata bisogna disfare e tornare indietro. Ma mai lasciare il lavoro a metà.

Le maniche

Io lavoro il busto per primo perché lo trovo più vago e quindi più noioso delle maniche. Cresce lentamente, non ho un punto di arrivo certo, va provato diverse volte per capire se ci siamo con la lunghezza e posso partire col bordo inferiore o meno. Tira di qua, liscia di là, guardati allo specchio, davanti, dietro, boh. Non sono mai sicuro. Spesso sbaglio. Una rottura insomma.

Lascio le maniche per ultime. Ho la sensazione di controllarne meglio lo sviluppo, perché all’inizio della prima manica, grazie ad una formula che ho ormai reso universale tramite un foglio di calcolo su Excel, riesco a calcolare con precisione quante diminuzioni dovrò effettuare per arrivare ad una certa circonferenza, prima di iniziare il polsino. Quindi mi costruisco una tabella con, nella prima colonna, il numero di giri da lavorare in piano + quello in cui effettuare le diminuzioni (solitamente il sesto o settimo), e nella prima riga il numero totale di di volte in cui ripetere il tutto. Poi via di spunte in ogni casellina.

La ricetta è infallibile, e arrivo giusto giusto con i ferri circolari all’ultima diminuzione prima di iniziare il polsino.

Per il Daelyn Pullover, ho diminuito ogni settimo ferro per un totale di 13 volte. Dopo l’ultima diminuzione, preferisco passare al gioco di ferri per fare il polsino (quelli in foto sono del 4.5 mm, di 0.5 mm in meno rispetto al lavoro principale). I punti infatti diventano pochi e per proseguire con i circolari dovrei stirarli lungo il cavetto, e non mi piace sollecitare il filato senza un vero bisogno. Tra l’altro, mi piace anche la gestualità che entra in gioco nel maneggiare questi cinque bastoncini.

Se per caso il numero di punti non è preciso, lo sistemo al primo giro di coste, in modo da ottenere un numero di punti pari (se progetto coste 1 x 1) o multipli di 4 (se ho in mente coste 2 x 2, come più spesso succede). Prima mi preoccupavo di arrivare al numero corretto prima di effettuare le coste, e ciò mi procurava inutili mal di testa. La mia amica Laura è una che tende alla semplificazione, e mi ha insegnato questo trucchetto. Il cielo sa quanto un ossessivo come me ha bisogno di amici knitter per limare le proprie rigidità!

Ad oggi so la lana perdona e che una scorciatoia qua e una là aiutano a rilassarsi e a godersi meglio quest’arte. E col tempo che risparmio posso bere uno spritz in più.

Il maglione

Il motivo principale per cui, anni addietro, iniziai a lavorare a maglia era il desiderio di realizzare un maglione. Per me, ma anche per la persona che avrei amato.

Trovo ci sia qualcosa di poetico nel lavorare incessantemente ad un progetto complesso per poi donarlo a qualcuno. In particolare, nel mio immaginario, il maglione è l’emblema del lavoro a maglia, il capo a cui tutti i principianti aspirano e che, una volta realizzato, fa dire: ce l’ho fatta. Per me ha anche il valore simbolico dello “stare addosso”, dell’abbracciare interamente chi lo riceve. È un po’ come stare con quella persona, anche quando si è lontani.

Dai miei primi passi di knitter sono passati ormai sette anni. Di maglioni ne ho fatti, alcuni seguendo schemi, la maggior parte usando metodi di costruzione Top Down ritagliati sulle mie misure (Fringe Association è stata la svolta).

Il lavoro attuale è un Daelyn Pullover della bravissima Isabell Kraemer, lavorato con uno splendido Felted Tweed Aran della Rowan, color Clay.

Il pattern mi ha fatto conoscere le German Short Rows, che all’inizio mi han spaventato ma dopo poco mi sono parse semplici e anche una bella trovata a dirla tutta, meglio delle Wrap and Turn. Un tentativo seguendo una taglia M non è andato a buon fine: tirava sotto le ascelle. Ho dovuto disfare, e seguire le indicazioni per una L. Mi sono sentito un po’ a disagio e ho ripensato ai vari gelati e biscotti Bahlsen che ingollo ogni sera davanti alla TV. Alla fine ho deciso che è colpa della lana, del campione, della Kraemer, dell’umidità, insomma di tutti tranne che mia, e ho proseguito con la L e dolciumi vari.

Dopo un tempo infinito per il corpo, che realizzo sempre per primo, le maniche stanno procedendo in modo spedito, complice il periodo di lockdown appena iniziato, che mi confina nei miei quarantadue metri quadri. Cerchiamo di vedere il bicchiere mezzo pieno. Forse per una volta finirò un maglione prima del solstizio d’inverno!